Vedere è un atto creativo
Quando sono giunta, dopo la ripida salita, alla cima dove comincia il percorso delle cappelle del Sacro Monte di Varallo, ho sentito una strana sensazione dentro il cuore, di calma e pace, come non le sentivo più da tanto tempo. Ho capito fin da subito che il posto dove mi trovavo era quasi fuori dal mondo, isolato da tutto ciò che c’è all’esterno, ma nel contempo anche nel mondo, perché esso c’è, fa parte di esso, e perché quando entri in questo pezzo di realtà, entri tu, con tutto te stesso, portandoti dietro (e dentro) tutto ciò che c’è fuori.
Trovo un paragone con le parole di Eliot che, nei Cori da La Rocca, dice:
“Quindi giunsero, in un momento predeterminato, un momento nel tempo e del tempo,
Un momento non fuori del tempo, ma nel tempo, in ciò che noi chiamiamo storia: sezionando,
bisecando il mondo del tempo, un momento nel tempo ma non come un momento di tempo,
Un momento nel tempo ma il tempo fu creato attraverso quel momento: poiché senza significato non c’è tempo, e quel momento di tempo diede il significato.”
Quindi anche il Sacro monte è così, come dice Eliot. Forse perché ciò di cui parla il Sacro Monte è proprio questo momento.
L’unica cosa certa è che il Sacro Monte è stato creato da quel momento ed è stato fatto per l’uomo, forse per il bisogno che ha in fondo al cuore.
Prima di vederlo pensavo che il Sacro Monte sapesse un po’ di vecchio, fosse qualcosa di antico, dato che Gaudenzio Ferrari lo ha fatto cinquecento anni fa per rispondere al desiderio di quella gente, inserendoli addirittura nella sua opera.
Chi se lo poteva immaginare che io sentissi il Sacro Monte così vicino a me?
Quando ogni giorno sento sempre più forte il bisogno di qualcosa e mi sento sempre più vicina all’orlo di un baratro, quando ormai il mondo è cambiato rispetto a cinquecento anni fa,
“La Chiesa ripudiata, la torre abbattuta, le campane capovolte, cosa possiamo fare
Se non restare con le mani vuote e le palme aperte rivolte verso l’alto
In un’età che avanza all’indietro, progressivamente?” (Eliot, Cori da La Rocca)
Ma anche io, anche l’uomo è cambiato rispetto alle persone che vivevano attorno a Gaudenzio?
Il mio desiderio è uguale al loro?
Quando sono finalmente di fronte alle cappelle, dopo aver atteso questo momento e aver provato a immaginare come erano fatte e la reazione che avrei avuto davanti ad esse, ecco che succede l’inimmaginabile.
Gaudenzio, quando ha fatto le cappelle, ha pensato a me, ne sono sicura.
Lui le ha fatte per me.
Guardandole io mi sento finalmente parte di quella grande storia di quell’Uomo, a cui ho sempre voluto appartenere.
Io sono lì con loro e con Lui, mi sentono declamare nei tribunali, si voltano quando rompo l’oscurità con la luce della mia torca, puntandola sul Cristo, il centro della storia.
Mi commuovo in diversi momenti del cammino, la salita al calvario, dove la folla è troppa, Lui cade e lo coprono, ed è dura intravederlo fra la gente. Quando è lì, sulla croce, il corpo martoriato e sofferente, e io sono lì con lui. Poi la deposizione, e il suo corpo, bianco e delicato come porcellana, la pelle non è più segnata, quasi come fosse già risorto, viene tolto delicatamente dalla croce, in un atto di pura tenerezza e preghiera.
E forse la cosa più bella, quando ero là, è stata quando ho disegnato Gesù nei tribunali, quando ho capito che le grate che chiudono le cappelle non sono un impedimento, ma una parte integrante dell’opera, che ti costringe a catapultarti nella scena.
Quando ho preso i miei acquerelli dalla borsa, ho subito trovato la posizione ideale per lavorare: mi sono inginocchiata sul gradino attaccato alla grata e il mio volto coincideva perfettamente con l’apertura in essa.
Ecco perché i buchi nella grata, per vedere dentro, sono così bassi.
Sono qui, inginocchiata alle spalle di Gesù, giudicato da Caifa, e lo disegno, per trattenere questo momento, per fare in mondo che diventi mio: questo attimo è stato, forse, la preghiera più bella e vera che io abbia mai detto.
Mi commuovo di fronte a questo dono che Dio mi ha fatto attraverso le mani di Gaudenzio, che, ormai, è un mio caro amico, perché abbiamo qualcosa in comune, lo stesso desiderio e lo stesso bisogno di diventare testimoni della vita di Cristo.
Ora posso veramente dirvelo: io ho incontrato Cristo.